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Italia amore: insolvenza

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di Christian Raimo e Marco Mancassola

La rubrica mensile di «Rolling Stone» sulle passioni e i mali del nostro Paese.

Christian Raimo: Padre, rimetti a noi i nostri debiti: ossia, azzerali, pagali tu per noi, liberacene. I genitori sono bene o male gli unici esseri umani che nella nostra vita ci danno dei soldi senza volerli indietro. Ma la crisi che stiamo attraversando sempre di più mostra uno scenario futuro diverso da quello in cui i padri rimettono i debiti dei figli. Sembra piuttosto che sulle giovani generazioni graverà l’incalcolabile peso di un’accumulazione di debito contratto da chi ha pensato di vivere in una bolla che non era solo finanziaria, ma metafisica: un’idea immaginifica della realtà. Lo vogliamo dire in un modo più chiaro? Se il prodotto interno lordo del mondo intero nel 2010 è stato di 74 mila miliardi di dollari, il moloch della finanza creativa l’ha surclassato. Il mercato mondiale delle obbligazioni vale 95 mila miliardi di dollari, le borse di tutto il mondo 50 mila miliardi, i derivati 466 mila miliardi: una biblioteca di Babele di valore possibile. Enti che non esistono, metropoli progettate nel deserto. Quando la bolla scoppia – e le bolle inesorabilmente scoppiano, nonostante la pervicacia ottimistica che fa dire ai Greenspan e ai Tremonti: “Questa volta, ve lo giuriamo, è diverso” – la situazione diventa immediatamente disastrosa. L’America degli anni 30, ma anche – per restare vicino a noi – il Messico degli anni 80, la Russia post-sovietica, l’Argentina di qualche anno fa, la Grecia del 2008. E chissà, l’Italia del 2012. Il crack è una specie di detonatore di realtà: ci fa immediatamente ricordare ciò che siamo. A meno che, anche questo capita spesso, ci affanniamo a pensare di mettere ancora pezze a quella bolla, pur di salvarne i lacerti. E giù salvataggi di banche, manovre di emergenza, dichiarazioni di ottimismo, marketing dell’illusione.

Quando per esempio qualche anno fa la crisi dei mutui ha investito l’Islanda, si è scoperta una piccola nazione con un PIL annuo di 9 miliardi e mezzo di euro indebitata con gli investitori inglesi e olandesi per 50 miliardi. Ma – diversamente da ogni abitudine precedente – i cittadini islandesi con un referendum hanno detto no al piano di restituzione del debito già approntato per loro dalle banche europee: hanno deciso insieme di non pagare, creando un precedente forse rischioso ma affascinante. E se facessimo tutti così?

Quest’idea, la rivendicazione di un diritto all’insolvenza (in un mondo in cui certi padri non solo non rimettono i debiti, ma ne creano di giganteschi) si sta facendo strada anche da noi, non a nome di qualche facinoroso drop-out ma anche da parte di qualche economista come Andrea Fumagalli, che ne ha scritto in tanti luoghi facilmente reperibili in rete. Forse alcune volte, se certi padri non sono stati capaci di insegnare il valore del fallimento, è meglio ammettere noi di aver sbagliato; forse è meglio dichiarare default, invece di pensare di salvare l’insalvabile e foraggiare quelle banche che hanno creato questa montagna di valore inesistente. Se ora anche molti economisti ipotizzano che sarebbe un bene un default controllato di una Grecia o un’Irlanda, qualcun altro come Andrea Fumagalli dice semplicemente che potremmo pensare di non far pagare questa crisi a chi non l’ha creata. Sperando questa volta che siano i figli, consapevoli di un principio di realtà a cui non erano stati educati, a insegnare qualcosa ai padri.

Marco Mancassola Avevo sedici anni quando mio padre perse il poco che aveva, la casa dove vivevamo fu espropriata. Ufficiali giudiziari che bussano alla porta, creditori che urlano minacce al telefono, le speranze di andare all’università che evaporano e la strada della tua vita che si fa in salita. Ero il ragazzo povero in un posto, la provincia veneta, che al tempo grondava soldi. Sono cresciuto tra gente più ricca di me, e non credo che questo mi abbia allenato all’invidia ma piuttosto a riconoscere il vuoto, la bolla di irrealtà che i soldi creano nella vita delle persone.

Oggi la legge sui fallimenti si è fatta meno stringente verso i piccoli imprenditori. Eppure il fallimento è rimasto un’idea-spettro dentro di me, una sorta di principio logico e crudele. Mi dico: un uomo che non riesce più a pagare i suoi debiti viene dichiarato fallito. Cosa accade però se allarghiamo il concetto del debito oltre i debiti aziendali, oltre i debiti personali, e consideriamo anche il debito pubblico pro-capite? Se consideriamo l’intero debito economico, ecologico, geopolitico della società in cui viviamo?

Un tale tipo di debito è ovviamente impossibile da ripagare. Nessuno ormai può riuscirci. E accade dunque che intere generazioni, da un punto di vista logico, sono fallite in partenza. Avete vent’anni, siete falliti. Ne avete dieci, siete falliti. Nascete ora, falliti. Membri di una società e di un’epoca che non saprà mai pagare il suo debito.

Il default, il downgrade, la crisi del debito. Quelle degli articoli di economia sono parole-tentacolo che ci afferrano e trascinano in giù verso spirali di incertezza. Se le parole suonano astratte, gli effetti sono concreti. Oggi si tratta di sperimentare precarietà, disoccupazione, sottoccupazione, lavoro in nero, impossibilità di progettare una vita. Domani magari le mense popolari e gli ostelli per senzatetto, che già registrano afflussi record. E le rivolte, i disordini sociali di cui vediamo qua e là il sinistro scintillare. Come si spezza la spirale?

Smettendo di pagare, dice qualcuno. Un sano diritto all’insolvenza. Creare un punto di rottura, resettare il mondo intero. Can’t pay, won’t pay è il motto inglese usato da numerose campagne: ricorda il Sotto paga! Non si paga! del lavoro teatrale di Dario Fo, scritto negli anni Settanta. Certe idee sono nell’aria da un po’.

In prospettiva, la domanda può farsi più specifica e cruciale. Esiste il diritto di certe generazioni di non pagare i debiti di quelle precedenti? E su un piano esistenziale, di che diritto si tratta, visto che siamo ciò che siamo grazie anche a chi è venuto prima? Diritto a dichiarare fallito, finanziariamente e moralmente, il mondo com’è stato finora. È ovvio che per acquisire un simile diritto bisogna fare un passo ulteriore. Bisogna abbandonarlo, il mondo com’è stato finora, per passare a qualcosa di radicale altro. Non puoi rifiutarti di pagare i debiti e continuare con la tua vita di prima.

Quanto a mio padre, penso alla sua faccia. Le rughe di cuoio da vecchio cowboy. La vita incisa su quella faccia, come una mappa su cui vorrei essere in grado di leggere cosa sarà di me, cosa sarà di noi.


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